22 giugno 1941: operazione barbarossa:
La decisione di Hitler di rompere il Patto di non-aggressione Molotov-Ribbentrop e di scatenare un attacco generale all'est (manifestata per la prima volta già nel luglio 1940) nasceva in primo luogo dalle concezioni ideologico-razziali del dittatore, delineate già nel Mein Kampf; a questi fondamenti ideologici si accompagnavano complesse motivazioni strategiche, politiche ed economiche, alcune utilizzate da Hitler tatticamente solo per convincere i suoi collaboratori:
- sconfiggere anche l'ultima potenza terrestre europea per poi poter riversare senza timori l'intera potenza della Wehrmacht contro l'Inghilterra;
- sconfiggere l'URSS nel 1941, prima dell'intervento americano (previsto per il 1942);
- organizzare un'area di sfruttamento economico autosufficiente essenziale per condurre una lunga guerra transcontinentale;
- raggiungere un collegamento diretto con l'alleato giapponese;
- proteggere la Germania dal prevedibile attacco della potenza bolscevica. La pianificazione operativa iniziò quasi contemporaneamente all'OKH (il cosiddetto 'piano Marcks', che poneva particolare enfasi all'obiettivo Mosca) e all'OKW (i contributi del generale von Lossberg, con il progetto di un attacco principale sulle due ali); le decisioni definitive, pesantemente condizionate dal pensiero strategico di Hitler (ostile ad una marcia diretta sulla capitale), vennero cristallizzate nella famosa Direttiva N. 21 del 18 dicembre 1940 (Fall Barbarossa, inizialmente denominato piano Otto): l'attacco sarebbe stato sferrato contemporaneamente su tutto il fronte e il primo obiettivo sarebbe stata la linea Dvina-Dnepr; Mosca sarebbe stata attaccata solo dopo la conquista di Leningrado e dell'Ucraina; la vittoria era attesa entro quindici settimane Contemporaneamente all'organizzazione e alla pianificazione di questa gigantesca campagna di guerra, Hitler si impegnò per molti mesi in un'estenuante campagna diplomatica, le cui tappe principali furono indubbiamente la firma a Berlino il 27 settembre 1940 del Patto Tripartito tra Germania, Italia e Giappone (diretto in primo luogo a paralizzare l'aggressività americana in Europa con la minaccia giapponese, ma in parte pericoloso implicitamente anche per l'URSS); e la visita di Molotov nella capitale tedesca in cui fallirono, di fronte alla brutale concretezza eurocentrica del ministro sovietico, i tentativi del dittatore di dirottare le mire russe verso mirabolanti prospettive indiane o persiane. Convinto dell'impossibilità di un nuovo accordo meramente tattico con Stalin e della ristrettezza del tempo rimasto a sua disposizione, Hitler prese la sua decisione. La situazione di Stalin stava diventando evidentemente sempre più difficile: il rafforzamento militare tedesco all'est proseguiva, le piccole nazioni ai confini dell'URSS si alleavano alla Germania, il Giappone era minaccioso in Estremo Oriente; i rapporti con Inghilterra e USA erano difficili (nonostante i tentativi di riavvicinamento dell'ambasciatore inglese Stafford Cripps, che al contrario avevano sollecitato la sospettosità staliniana). L'URSS era impegnata in una frenetica corsa contro il tempo per ricostruire e riorganizzare le sue forze militari, modernizzando nel contempo i suoi armamenti e le sue tattiche. Prevedendo la guerra solo per il 1942, Stalin contava di riuscire a completare i suoi preparativi e di poter trattenere Hitler con concessioni economiche o diplomatiche: considerando insensato un attacco tedesco a est con l'Inghilterra ancora in armi all'ovest, sopravvalutava la prudenza e l'accortezza strategica di Hitler.
Il 13 aprile 1941 Stalin mise a segno un grande successo strategico-diplomatico: firmò con il Giappone il Patto nippo-sovietico di non aggressione, di durata quinquennale, con il quale si coprì le spalle da un attacco giapponese che, in caso di guerra con la Germania di Hitler, avrebbe esposto l'Unione Sovietica alla minaccia di un attacco da dietro. Il Giappone, male informato dai tedeschi sui propositi offensivi contro l'URSS (secondo la volontà di Hitler, desideroso al momento di condurre da solo la guerra all'est), aveva a sua volta firmato il Patto per proteggersi le spalle in caso di una sua avanzata offensiva nel Sud-Est asiatico contro le potenze anglosassoni.Il 22 giugno la Germania, rompendo il patto di non aggressione del 1939, scatenava la gigantesca operazione Barbarossa: Hitler mirava a distruggere rapidamente l'Unione Sovietica; in pochi mesi la schiacciante potenza della Wehrmacht avrebbe dilagato ad est con l'obiettivo di occupare il territorio.Stalin, nonostante i numerosi avvertimenti diplomatici e di intelligence ricevuti, venne colto di sorpresa: fino all'ultimo aveva interpretato i segni di un attacco tedesco come semplici pressioni intimidatorie di Hitler per costringerlo a trattare da posizioni di debolezza e quindi le forze sovietiche in prima linea non furono tempestivamente allertate e, lasciate senza ordini precisi, vennero attaccate di sorpresa dalle schiaccianti forze nemiche; oltre 3 milioni di soldati tedeschi parteciparono all'attacco appoggiati dai contingenti degli stati satelliti della Germania - Romania, Ungheria, Slovacchia, Italia, Finlandia - e dalle formazioni volontarie reclutate nei Paesi Bassi, in Francia, in Scandinavia ed in Spagna. Fin dall'inizio la situazione dei sovietici si rivelò drammatica. I potenti cunei corazzati tedeschi avanzarono subito in profondità, progredirono per decine di chilometri nelle retrovie delle truppe sovietiche rimaste ferme sulle linee di confine e conquistarono d'assalto ponti sui fiumi più importanti (Dvina, Niemen e Buh Occidentale) e altri punti strategici. Il caos regnava nelle retrovie e nella catena di comando sovietica; le comunicazioni erano interrotte, le incursioni aeree devastavano i depositi e i centri di comando, a Mosca né Stalin né lo Stavka(Comandante in capo delle Forze Armate) percepirono subito la catastrofe che si profilava. Mentre le prime linee sovietiche si battevano accanitamente e disordinatamente, le colonne corazzate tedesche manovravano per richiudere in grandi sacche le forze nemiche. Le ingenti riserve corazzate sovietiche presenti nelle retrovie vennero gettate subito allo sbaraglio contro le molto più esperte Panzer-Divisionen: si scatenarono numerose battaglie d'incontro sia a nord, sia al centro , dove i carri armati russi subirono perdite spaventose, impiegati allo scoperto, confusamente e sotto gli attacchi della Luftwaffe(con un riuscito attacco di sorpresa sugli aeroporti russi, l'aviazione tedesca guadagnò subito il dominio del cielo). A sud le forze corazzate sovietiche si batterono meglio e misero in difficoltà i panzer del cuneo corazzato tedesco, ma la superiorità tedesca si impose e anche in questo settore i mezzi corazzati tedeschi, dopo aver inflitto grandi perdite, continuarono ad avanzare. Ai primi di luglio le grosse riserve corazzate sovietiche erano state malamente impiegate dal comando sovietico e quindi distrutte quasi completamente. I carri armati tedeschi poterono così proseguire l'avanzata negli stati Baltici, avvicinandosi addirittura a Leningrado, progredire verso Žitomir e Kiev, chiudere la sacca di Uman e soprattutto accerchiare tre armate sovietiche nella gigantesca trappola di Minsk-Białystok il 28 giugno.Il 3 luglio, dopo un'eclissi di oltre dieci giorni, Stalin rientrava in campo con un celebre discorso radiofonico in cui delineava realisticamente le difficoltà della situazione e l'entità della minaccia che incombeva sull'URSS e i suoi popoli. L'intervento del dittatore servì, accompagnato da misure draconiane, a rafforzare la disciplina, mobilitare tutte le risorse e organizzare nuove armate per ricostituire un fronte difensivo. Infatti, alla metà di luglio, lo schieramento iniziale sovietico era stato praticamente distrutto dall'attacco tedesco.I tedeschi, dopo aver rastrellato la sacca di Minsk, procedevano rapidamente lungo la strada di Mosca. A Smolensk anche il secondo scaglione sovietico, frettolosamente organizzato, venne accerchiato; si scatenò una sanguinosa battaglia, la resistenza sovietica fu aspra e, anche se al costo di gravi perdite servì a rallentare e contenere la progressione diretta tedesca lungo la strada di Mosca.Nel frattempo i tedeschi avevano conquistato completamente gli Stati Baltici e marciavano su Leningrado; l'intervento finlandese da nord aggravò ancora la situazione della ex-capitale. Agli inizi di agosto la precaria linea difensiva di Luga venne superata; con manovra aggirante le colonne tedesche raggiunsero il Lago Ladoga a Schlissenburg l'8 settembre, i finlandesi avevano riconquistato parte della Carelia, Leningrado era totalmente isolata. Cominciava la tragedia della grande città, decimata dalla fame e dai bombardamenti, ma determinata a non arrendersi;durante l'inverno solo la via della vita sul ghiaccio del Ladoga avrebbe permesso la precaria sopravvivenza dei resti della popolazione. A sud, dove i tedeschi erano rafforzati dai contingenti satelliti rumeno e italiano , la resistenza sovietica era più solida, in difesa di Kiev e della linea del Dnepr; quindi, essendo le forze tedesche più deboli, l'avanzata venne rallentata.Alla fine di luglio Stalin fece mostra di un certo ottimismo, durante i colloqui con l'inviato di Roosevelt Harry Hopkins, esprimendo la sua sicurezza di fermare la guerra lampo tedesca; pur non sconsiderato, l'ottimismo staliniano era certamente prematuro: i tedeschi erano ancora molto potenti, nonostante le dure perdite ed erano in grado di proseguire l'avanzata verso il cuore della Russia.In questa fase sorsero contrasti anche nell'Alto Comando tedesco tra Hitler, ostile a seguire il miraggio di Mosca e quindi a proseguire direttamente verso la capitale, e alcuni generali determinati invece a marciare subito su Mosca sperando anche negli effetti psicologici derivanti dalla caduta della città. Hitler impose la sua decisione; preoccupato dalle difficoltà verificatesi nel settore meridionale architettò una nuova gigantesca manovra accerchiante con l'afflusso verso sud di una parte delle forze corazzate del raggruppamento centrale. La manovra avrebbe dato origine alla 'micidiale sacca di Kiev', in cui l'intero concentramento di forze sovietico del settore meridionale venne accerchiato e distrutto con la perdita di oltre 600.000 soldati 24 settembre 1941. La catastrofe, in parte scaturita da alcune decisioni errate di Stalin sembrò confermare la correttezza delle decisioni del Führer.Alla fine di settembre la situazione sembrava decisa a favore dei tedeschi: Leningrado era stretta nel mortale assedio tedesco-finlandese; le difese di Mosca, imperniate sulle precarie linee fortificate a est di Smolensk, apparivano vulnerabili; a sud si apriva il vuoto di fronte alle colonne corazzate tedesche. L'Ucraina era completamente conquistata (presa di Char'kov il 24 ottobre), la Crimea era invasa, i tedeschi si spingevano in direzione di Rostov, porta del Caucaso (che sarebbe caduta provvisoriamente il 20 novembre).Il 2 ottobre, dopo il rafforzamento del raggruppamento centrale tedesco portato a 1 milione di uomini e 1.700 carri armati , Hitler scatenava l'Operazione Tifone: una potente offensiva diretta a conquistare Mosca, distruggere le forze sovietiche a difesa della capitale e concludere vittoriosamente la guerra all'Est prima dell'arrivo dell'inverno. Nonostante le gravi perdite già subite dai tedeschi il Führer e l'alto comando tedesco mantenevano la piena fiducia di vincere questa ultima grande battaglia contro le superstiti forze sovietiche, che avevano subito perdite enormi di uomini ed equipaggiamenti. L'inizio dell'Operazione Tifone sembrò confermare l'ottimismo tedesco: i cunei corazzati penetrarono subito le cinture difensive sovietiche e progredirono con grande velocità chiudendo due nuove gigantesche sacche di accerchiamento a Brjansk e Vjaz'ma ; un'altra colonna di panzer entrò di sorpresa a Orël. La situazione dei russi si aggravò rapidamente: le forze poste a difesa di Mosca erano accerchiate, i carri armati tedeschi avanzavano sulla capitale direttamente dalla strada maestra di Smolensk, da nord passando per Kaluga e anche da sud. Stalin per la prima volta mostrò segni di disperazione; il 14 ottobre esplose il panico a Mosca, mentre il corpo diplomatico e il governo si trasferivano a Kujbyšev. Il momento di scoramento del dittatore sovietico fu breve; decise quindi di rimanere personalmente nella capitale e organizzare la difesa di Mosca richiamando dal fronte di Leningrado l'abile generale Georgij Žukov e, soprattutto, schierando numerose divisioni siberiane ben equipaggiate provenienti dall'Estremo Oriente.L'intervento di queste truppe scelte, l'energia dispiegata da Stalin e Žukov e anche l'arrivo sul campo di battaglia del periodo del fango che intralciò enormemente la progressione delle colonne tedesche, concorsero a fermare la marcia sulla capitale (fine ottobre).Ma i tedeschi non rinunciarono e, dopo aver atteso che i primi geli solidificassero il terreno, ripresero ancora l'attacco, nonostante l'approssimarsi dell'inverno russo a cui erano totalmente impreparati . Anche quest'ultimo tentativo tedesco (iniziato il 16 novembre), nonostante qualche successo (alcuni reparti tedeschi giunsero in vista della periferia della capitale sovietica il 4 dicembre), sarebbe fallito di fronte alla solida resistenza sovietica e al progressivo peggioramento del clima.Stalin e Žukov disponevano ancora di forze di riserva efficienti e ben equipaggiate per l'inverno, con cui sferrarono a partire dal 5 dicembre un improvviso contrattacco sia a nord di Mosca che a sud della capitale contro le punte avanzate tedesche ormai bloccate anche dall'arrivo del gelo. Il colpo cadde totalmente inaspettato sulle truppe tedesche ormai esauste; in mezzo alle intemperie invernali i russi passarono all'offensiva, liberarono molte importanti città intorno a Mosca, e rigettarono i tedeschi a oltre 100 km dalla capitale; la Wehrmacht subì la sua prima pesante sconfitta della guerra; ci furono crolli del morale tra le truppe e i generali tedeschi; enormi quantità di equipaggiamento furono persi. L'Operazione Barbarossa si concludeva alla fine dell'anno con un fallimento; l'URSS, nonostante le enormi perdite (4,3 milioni di perdite totali nel 1941), non era crollata e era passata al contrattacco, i tedeschi erano costretti a combattere una dura battaglia difensiva invernale, la situazione geostrategica complessiva cambiava a sfavore della Wehrmacht si era molto indebolita. Per Hitler, forse già presago della futura sconfitta ma tenacemente deciso a continuare la guerra su tutti i fronti (organizzò personalmente la difesa ad oltranza sul fronte orientale per evitare una ritirata incontrollabile dell'Esercito tedesco).